Nel reparto di controllo della pressione arteriosa, il monitor lampeggia mentre l’infermiera annota i valori: il rumore del bracciale che si sgonfia e il paziente che sospira. È in quel gesto ripetuto che si misura il successo di un rimedio spesso considerato tradizionale: la melissa. Un gruppo di ricercatori ha scelto di metterla alla prova con rigore scientifico per capire se la pianta possa influire sulla pressione arteriosa in persone affette da ipertensione essenziale. Lo studio è stato condotto su 49 partecipanti e progettato come uno trial doppio cieco, crossover, con dosaggi standardizzati di 400 mg/d assunti tre volte al giorno per quattro settimane, seguiti da un periodo di washout di due settimane.
Il disegno ha previsto che metà dei pazienti iniziasse con la melissa mentre l’altra metà ricevesse un placebo, poi le due squadre si scambiassero i trattamenti nella fase successiva. I ricercatori hanno misurato la pressione sistolica e diastolica al basale e ogni due settimane per un totale di dieci settimane di osservazione. Un aspetto che spesso sfugge a chi vive in città: la puntualità nella misurazione e la standardizzazione delle condizioni di rilevazione sono fondamentali per confrontare i dati. I dati raccolti sono stati analizzati con metodi statistici adeguati per valutare se le variazioni osservate fossero riconducibili al trattamento con la pianta o al caso.
Risultati principali e cosa significano
I risultati mostrano una diminuzione della pressione sistolica e diastolica dopo l’assunzione di Melissa officinalis, rispetto al placebo. Nel gruppo che ha ricevuto la melissa nella prima fase, la pressione sistolica media è scesa da 152,30 ± 5,312 mmHg a 129,88 ± 9,009 mmHg, mentre la diastolica è passata da 95,52 ± 1,988 mmHg a 80,13 ± 5,488 mmHg. Nel gruppo inizialmente in placebo e poi in trattamento, la sistolica è diminuita da 152,26 ± 5,640 mmHg a 131,77 ± 8,091 mmHg e la diastolica da 94,44 ± 2,607 mmHg a 81,46 ± 7,426 mmHg (p = .005).

Questi numeri indicano una riduzione statisticamente significativa associata all’assunzione della pianta rispetto al controllo. Un fenomeno che in molti notano solo d’inverno è la maggiore variabilità pressoria legata a stress e temperatura: gli autori hanno cercato di controllare fattori confondenti ma segnalano il limite imposto dalla dimensione del campione. Un dettaglio che molti sottovalutano è la durata relativamente breve di ciascuna fase (quattro settimane), che condiziona la capacità di valutare effetti a lungo termine.
Non sono stati riportati effetti avversi significativi durante lo studio, e questo elemento rafforza l’idea che la melissa possa avere un profilo di sicurezza favorevole se usata per brevi periodi in persone selezionate. Tuttavia, la numerosità ridotta del campione e la specificità della popolazione studiata rendono prudente l’interpretazione: servono repliche su scala più ampia e monitoraggi più lunghi per confermare la persistenza dell’effetto e la sua rilevanza clinica.
Limiti, sicurezza e possibili sviluppi pratici
Alla luce dei dati, la melissa appare associata a una riduzione della pressione arteriosa in soggetti con ipertensione essenziale, ma la ricerca presenta limiti evidenti. Il campione complessivo era di 49 persone, suddivise in 23 e 26 soggetti, e ogni trattamento è durato quattro settimane: questo configura una prova interessante ma non definitiva. Un aspetto che molti sottovalutano riguarda l’eterogeneità dei singoli pazienti — età, terapie concomitanti, abitudini alimentari — che può influire sui risultati e richiede studi stratificati per chiarire chi può realmente trarre beneficio.
La sicurezza emersa nel trial è un punto a favore: non sono stati segnalati effetti collaterali significativi, un elemento che rende plausibile l’uso sotto controllo medico in alcuni casi. Tuttavia, la decisione di integrare la pianta in un percorso terapeutico deve passare attraverso la consultazione con il medico, soprattutto quando sono in corso farmaci antipertensivi. Un fenomeno che in molti notano solo d’inverno è proprio l’aumento dei farmaci assunti e l’interazione potenziale con rimedi a base di erbe.
Per sviluppi pratici, servono studi più ampi e con follow-up prolungati per verificare la durata dell’effetto e la relazione dose-risposta. L’articolo originale dei ricercatori (Shekarriz et al., pubblicato su Phytotherapy Research) fornisce una base metodologica che può guidare protocolli futuri. Un dettaglio che molti sottovalutano è che, nella vita quotidiana, la gestione dell’ipertensione passa anche attraverso stili di vita e adherence terapeutica: la melissa potrebbe rappresentare un complemento e non una sostituzione delle terapie consolidate. Alla fine, resta l’immagine di una pianta studiata con strumenti moderni e una tendenza che molti pazienti stanno già osservando nella pratica clinica.
