Nel corridoio di un reparto chirurgico, tra il rumore ovattato dei carrelli e una luce notturna, c’è chi non trova il sonno. La scena si ripete: pazienti svegli, infermieri che annotano richieste, una farmacia ospedaliera che propone soluzioni. Al centro di molte richieste c’è una pianta: la valeriana. Un fatto concreto, osservato in diversi ospedali, che apre la domanda su quanto siano efficaci e diffusi i rimedi a base di erbe per il sonno dopo un intervento. Un dettaglio che molti sottovalutano è come la scelta del rimedio cambi con l’età e il reparto. Lo raccontano i dati clinici raccolti in studi retrospettivi e le ricognizioni farmacologiche nei reparti, e lo vedono i sanitari nel quotidiano. Nel dibattito clinico la valeriana officinalis viene spesso citata per i suoi effetti sul sistema nervoso e per l’impiego tradizionale nei disturbi della notte, ma la letteratura umana mostra risultati variabili: in vitro emergono proprietà antiossidanti e neuroprotettive, mentre negli studi sull’uomo l’impatto sul riposo resta moderato. Questo quadro spinge a guardare non solo alle proprietà della pianta, ma anche alle dinamiche ospedaliere, ai protocolli e alle preferenze dei pazienti. Un fenomeno che in molti notano solo d’inverno è l’aumento delle richieste di aiuti per dormire, ma la questione rimane attuale in ogni stagione. Chi vive in città o vicino agli ospedali osserva come le soluzioni non siano tutte equivalenti: ci sono scelte farmacologiche consolidate e opzioni fitoterapiche che vengono considerate alternative o complementari.
Analisi dei ricoveri e dei farmaci per dormire
Un’analisi retrospettiva su migliaia di ricoveri ha messo a fuoco l’uso di prodotti per favorire il sonno nella fase post-operatoria. I dati provengono da una clinica universitaria in Germania, dove sono stati esaminati oltre 21.000 ricoveri in reparti chirurgici tra il 2015 e il 2020.

Lo studio ha cercato di capire quali farmaci siano stati prescritti o somministrati per il sonno post-operatorio e in che misura siano stati impiegati preparati a base di erbe rispetto ai farmaci tradizionali. Dall’analisi è emerso che circa il 15% della coorte ha ricevuto un trattamento per i disturbi del sonno durante la degenza: una percentuale significativa se si pensa al numero complessivo di pazienti. Tra le opzioni, le benzodiazepine restano la categoria più utilizzata, ma la valeriana è risultata il secondo rimedio più frequente, somministrata spesso come monoterapia. I fattori che aumentano la probabilità di ricorrere a questi rimedi sono stati l’età avanzata, la durata più lunga della degenza e la presenza di più patologie associate; tutti elementi che rendono il problema del sonno più complesso. Un aspetto che sfugge a chi vive in città è come la prescrizione vari anche in base al reparto: pazienti di ginecologia, urologia o chirurgia generale mostrano comportamenti differenti nella richiesta di aiuto per dormire. La scelta della valeriana è risultata più comune tra le donne e tra gli anziani, indicando un pattern che merita attenzione nella pratica clinica e nella gestione della terapia del sonno.
Interpretazioni, limiti e conseguenze pratiche
I risultati vanno letti con cautela. Lo studio retrospettivo descrive tendenze nelle prescrizioni, ma non può stabilire con certezza l’efficacia comparativa dei trattamenti né i motivi specifici della scelta medica. In laboratorio la valeriana mostra proprietà che vanno dall’azione antiossidante alla protezione cellulare, e in modelli animali sono stati osservati effetti ansiolitici e antispastici; negli studi clinici sull’uomo, però, il beneficio sul sonno è spesso modesto. Pertanto, nella pratica ospedaliera la pianta può rappresentare un’opzione valida soprattutto per chi preferisce evitare sedativi classici o quando si cerca una terapia meno invasiva, ma serve prudenza: interazioni con altri farmaci e variabilità nei preparati sono elementi centrali da considerare. Un elemento spesso trascurato è il rapporto tra durata della degenza e percezione del problema del sonno: più il ricovero si allunga, più cresce la richiesta di interventi mirati. Questo porta a riflettere sulle politiche di gestione del comfort notturno in reparto, sulle linee guida per l’uso di fitoterapici e sulla necessità di studi prospettici che confrontrino direttamente la valeriana con altre terapie. Per ora, il messaggio pratico è che la pianta svolge un ruolo riconosciuto nella gestione post-operatoria, con una presenza maggiore tra donne e anziani, ma non sostituisce un’analisi clinica approfondita. Un dettaglio che molti sottovalutano: spesso il beneficio percepito dipende anche da fattori ambientali e da piccole misure di cura notturna. L’immagine finale resta concreta — un modesto contenitore di preparato erboristico lasciato sul comodino di un paziente in una stanza d’ospedale — e dice molto sulle scelte che si fanno quando si cerca riposo dopo un intervento.
